
Spesso si usano come sinonimi, ma tra fare il fotografo e fare fotografia esiste una differenza profonda, che riguarda non solo il modo in cui ci si approccia alla macchina fotografica, ma anche il senso che si dà a ciò che si fa.
Fare il fotografo significa, nella maggior parte dei casi, esercitare una professione. È un mestiere che richiede competenza tecnica, capacità di adattarsi alle richieste dei clienti, rispetto dei tempi e delle aspettative. Il fotografo lavora per altri: può essere chiamato a documentare un matrimonio, realizzare un servizio pubblicitario, seguire un evento o scattare immagini per una redazione. È un ruolo importante, che richiede disciplina e professionalità, ma che spesso si muove all’interno di confini ben precisi.
Fare fotografia, invece, è un atto più libero, personale, spesso slegato da finalità commerciali. È una pratica che può nascere da un’urgenza interiore, dal desiderio di raccontare qualcosa, di osservare il mondo in modo diverso, di fermare il tempo o esplorare le sfumature della luce e dell’emozione. Si può fare fotografia senza essere fotografi di professione. Anzi, molti dei più intensi progetti fotografici nascono proprio da questo spazio intimo e non condizionato.
Certo, le due dimensioni non sono in conflitto. Un bravo fotografo può (e dovrebbe) fare anche fotografia nel senso più autentico, e chi fa fotografia per sé può diventare fotografo professionista. Ma mantenere viva questa distinzione aiuta a non perdere il senso del proprio percorso: ricordarsi perché si scatta, per chi, con quale sguardo.
Ecco perché sul mio blog ho scelto di definirmi “fotografo per finta”: non per sminuire ciò che faccio, ma per rivendicare la libertà di fotografare senza dover rendere conto a un mercato, a una committenza o a un’etichetta. Faccio fotografia perché ne sento il bisogno, perché è il mio modo di pensare, di camminare, di essere presente. Finta, forse, la professione; vera, però, la passione.