Foto che non pubblico: cosa ci insegnano?

foto che non pubblico
foto che non pubblico – Monumento ai Caduti di San Felice del Benaco

Ogni fotografo, che sia professionista o appassionato, ha un archivio nascosto: una cartella piena di foto che non pubblico mai. Alcune sono scattate durante esperimenti, altre ritraggono momenti troppo personali, altre ancora sono semplicemente “non pronte”. A volte le guardo e mi chiedo: perché non le condivido? Sono troppo intime? Troppo imperfette? O forse mi raccontano qualcosa che ancora non ho il coraggio di dire ad alta voce?

Eppure, proprio queste foto che non pubblico mai sono spesso le più sincere. Le più rivelatrici. Quelle che parlano davvero di me, senza filtri o intenzioni. Questo articolo è un invito a riscoprirle, a rivalutarle, e a capire cosa possono insegnarci — anche se (o proprio perché) non finiscono sui Instagram, oppure su un blog come questo.

Perché ci sono foto che non pubblichiamo?

Le ragioni sono tante e spesso si intrecciano tra loro. Una delle più comuni è l’insicurezza tecnica: sfocature non volute, esposizione sbagliata, composizioni che non funzionano come sperato. Ma c’è anche altro. A volte non pubblichiamo una foto perché ci sembra troppo fragile. Perché parla di noi in modo troppo diretto.

Ricordo una fotografia scattata durante un momento difficile. Una mattina d’inverno, la luce filtrava appena nella mia stanza. Ho preso la macchina fotografica quasi per istinto. Quel file è ancora lì, in una cartella chiamata “non so”. È una foto sbagliata, se la guardo dal punto di vista tecnico. Ma è esattamente il mio stato d’animo di quel giorno. Troppo nuda, troppo vera. E quindi resta lì, non pubblicata.

Le foto “sbagliate” e la nostra evoluzione

Spesso cataloghiamo una foto come “non buona” solo perché non corrisponde a uno standard. Ma chi decide cosa sia buono? In un mondo dove le immagini sono filtrate, ritoccate e ottimizzate per i social, cosa significa davvero “bella foto”?

Le foto che non pubblico mai diventano, con il tempo, una mappa del nostro percorso. Ci mostrano gli errori, ma anche le intuizioni. Sono il nostro laboratorio segreto. A volte, riguardandole dopo mesi o anni, capisco che alcune erano solo premature. Erano in anticipo sui miei gusti o sulla mia consapevolezza fotografica. Oggi, alcune di quelle immagini sono tra le mie preferite.

Fotografie intime: dove finisce il privato?

Un’altra categoria di immagini che restano nel cassetto sono quelle troppo personali. Non parlo solo di ritratti o autoritratti, ma anche di luoghi, oggetti, atmosfere che hanno per noi un significato profondo. Un cancello arrugginito visto da bambino, la sedia vuota della nonna, il riflesso della luce in una stanza dove abbiamo pianto. Queste fotografie sono intime perché ci toccano nel profondo.

La domanda è: dobbiamo per forza condividerle? No. Ma possiamo rifletterci sopra. Spesso, proprio il fatto che ci emozionino così tanto è indice del loro valore. Anche se restano invisibili al mondo, ci aiutano a conoscerci meglio.

Il ruolo dell’archivio nascosto

Col tempo ho imparato a non cancellare quasi nulla. Anche le foto che non mi convincono subito finiscono nell’archivio. Alcune tornano a galla quando meno me l’aspetto, magari durante la preparazione di un progetto.

In effetti, è proprio da queste foto che non pubblico mai che sono nati alcuni dei miei progetti più sentiti, personali e privati. Sono immagini che aspettavano solo il contesto giusto, il momento giusto per emergere. Tenerle da parte è come piantare semi: non tutti germogliano subito, ma alcuni crescono forti e sorprendenti.

Rileggere sé stessi attraverso le immagini

Guardare oggi una foto scattata anni fa è come leggere una pagina di diario. Ci parla del nostro sguardo di allora, delle nostre emozioni, dei dubbi e delle curiosità. A volte noto dettagli che non avevo visto, intuizioni che all’epoca non avevo colto.

Le immagini che restano nel cassetto hanno un potere rivelatore. Sono fotografie che non mentono, proprio perché non sono state costruite per piacere. Non sono nate per raccogliere like, ma per esistere. E questa loro autenticità le rende preziose.

Scatti che ci insegnano ad ascoltarci

Forse il vero valore delle foto che non pubblico mai è che miobbligano a fermarmi. A chiedermi: cosa stavo cercando? Perché ho scattato questa immagine? Cosa volevo dire, e a chi?

È un dialogo silenzioso ma potente. A volte mi aiuta a capire cosa voglio dalla fotografia. Altre volte mi suggerisce che sto cercando qualcos’altro, magari al di fuori dell’obiettivo.

Come valorizzare le foto “nascoste”

Non tutte le foto devono essere pubblicate, ma ciò non significa che debbano essere dimenticate. Ecco alcune idee per dare valore alle immagini non condivise:

  • Crea un diario visivo: stampa le foto e scrivici accanto. Anche solo per te.
  • Organizza un’esposizione privata o tematica con pochi amici o in uno spazio personale.
  • Usa queste foto come base per riflettere su un nuovo progetto fotografico.
  • Stampale e incollale in un quaderno.

Queste pratiche danno dignità a ciò che altrimenti rimarrebbe invisibile, e alimentano un dialogo continuo tra noi e le nostre immagini.

Narrazione e fotografia: un legame potente

Molte delle foto che non pubblico raccontano storie. Ma per molto tempo ho pensato che una foto dovesse parlare da sola. Poi ho capito che accompagnare una foto con parole non la impoverisce, anzi: la arricchisce. Dare voce a uno scatto dimenticato può trasformarlo.

Una volta, durante un laboratorio, ho mostrato una serie di foto che avevo sempre considerato troppo personali. Le ho raccontate. La reazione è stata commossa. Quelle immagini hanno toccato corde profonde proprio perché erano vere. Ed erano lì, nel mio archivio, da anni.

Le immagini non condivise e il rapporto con il pubblico

C’è un altro aspetto interessante: quello del rapporto con chi ci segue. Pubblicare solo le foto “belle”, “giuste”, “perfette” crea un’immagine idealizzata di noi. Ma quando (se) mostriamo anche una parte del nostro archivio nascosto, diventiamo più autentici. Più umani.

Non significa pubblicare tutto, né forzarsi a condividere ciò che non si vuole. Ma ogni tanto, aprire uno spiraglio può creare un legame più profondo. Chi guarda le nostre immagini si accorge che dietro l’obiettivo c’è una persona, non solo un “prodotto”.

Conclusione

Le foto che non pubblico mai sono parte integrante del mio percorso. Parlano di me, anche quando le teniamo nascoste. Sono tracce, prove, confessioni visive. Alcune forse non verranno mai mostrate. Altre, un giorno, troveranno il loro spazio come, ad esempio, l’archivio fino a poco tempo fa sconosciuto di Vivian Maier.

Riguardarle mi aiuta a capire chi sono, dove sto andando, e cosa voglio davvero raccontare. La fotografia, dopotutto, è anche un modo per ascoltarci.

Tu hai un archivio nascosto? Cosa ti dicono le tue immagini mai pubblicate? Raccontamelo, se ti va, scrivendomi a info@simonezuin.it.