la ricerca di consenso uccide la creatività?

ricerca di consenso - Porta vuota a Desenzano del Garda

Quando il desiderio di piacere soffoca la visione

“La ricerca di consenso crea mediocrità.”
Oliviero Toscani non è mai stato tenero nei suoi giudizi. Ma questa frase, se sei un fotografo (o aspiri a diventarlo), ha una forza quasi brutale. Ti costringe a guardarti dentro e a chiederti: quanto spesso scatto una foto pensando a come verrà accolta? A quanti like riceverò? A quanto risulterà “bella” nel senso più neutro e accettabile del termine?

Ecco, proprio lì inizia la trappola. Perché la ricerca di consenso, nella fotografia come in qualsiasi forma d’arte, è una strada comoda, ma senza sorprese. È il sentiero battuto da milioni di scatti già visti, già apprezzati, già approvati.

Ma chi ha detto che la fotografia debba piacere a tutti?

Quella volta in cui ho scattato per me

Ricordo bene un pomeriggio d’autunno, nebbioso, sulle sponde del Garda. Avevo con me solo la mia vecchia reflex, una 35mm montata e nessun piano preciso. Camminavo senza fretta, immerso nel silenzio lattiginoso del paesaggio.

A un certo punto mi sono fermato davanti a un muro di cemento scrostato, con una scritta sbiadita e un filo d’erba che lo attraversava come una vena verde. Ho scattato. Nessuno avrebbe messo quella foto su Instagram. Ma io sì. Perché in quell’istante, quella scena raccontava esattamente quello che provavo: fragilità, resistenza, memoria.

E sai una cosa? È stata una delle foto che ha toccato di più. Perché era sincera. Non cercava di piacere, ma di essere.

Il consenso come anestetico visivo

Quando fotografiamo per cercare l’approvazione altrui, spesso cadiamo in una forma di anestesia visiva. I colori diventano prevedibili, le composizioni ripetitive, i soggetti banalmente “belli”.
Eppure, la fotografia non dovrebbe servire a decorare, ma a dire qualcosa.

Pensiamo ai grandi nomi: da Diane Arbus a Daido Moriyama, da Letizia Battaglia a Luigi Ghirri. Nessuno di loro si è mai chiesto: “Ma questa foto piacerà?”. Hanno inseguito una visione. Hanno avuto il coraggio di essere incompresi. E solo così hanno lasciato un segno.

Originalità e rischio: una coppia inseparabile

L’originalità in fotografia non è una posa eccentrica o un filtro strano. È la capacità di restare fedeli a uno sguardo personale, anche quando questo sguardo va controcorrente.

E per farlo serve rischio.

Rischio di essere fraintesi.
Rischio di non ricevere applausi.
Rischio di fallire, perfino.

Ma è proprio lì, nel rischio, che la creatività trova ossigeno.

Un esperimento: prova a non condividere

Ecco una sfida semplice e potente: per una settimana, fotografa ogni giorno qualcosa che ti parla profondamente. Qualcosa che ti fa fermare, che ti turba o ti emoziona. Ma non postarla da nessuna parte.
Tienila solo per te.

Alla fine della settimana, rivedi gli scatti. Quali parlano davvero? Quali ti somigliano?

Questo piccolo esercizio serve a spezzare il ciclo della ricerca di consenso e rientrare in contatto con il motivo per cui hai iniziato a fotografare.

Conformismo creativo: un virus silenzioso

Il conformismo creativo è subdolo. Non si manifesta come una scelta cosciente, ma come una serie di piccoli adattamenti quotidiani.
“Metto meno grana, così è più pulita.”
“Tolgo l’ombra, così è più leggibile.”
“Spingo i colori, così è più accattivante.”

E alla fine ti ritrovi con una foto che non ti appartiene.

La buona notizia è che possiamo sempre tornare indietro. Possiamo scegliere di disobbedire. Di sporcare, tagliare, osare. Di raccontare storie, non di costruire cartoline.

Se non ti capiscono… meglio così

È dura da accettare, ma se vuoi fare fotografia autentica, devi mettere in conto che non tutti ti capiranno. E questo è un buon segno.
Se tutti approvano, se nessuno si interroga, se tutto è “carino”, forse non stai dicendo nulla di vero.

Come diceva un vecchio fotografo: “Se non c’è un po’ di fastidio, non è arte. È arredamento.”

Una fotografia ha senso solo se ha un senso

Questo vale per ogni immagine che decidiamo di creare: ha senso solo se nasce da un’urgenza, da un’intuizione, da una voce interiore.
Non deve per forza scioccare. Ma deve muovere qualcosa.

E questo qualcosa non può essere deciso a tavolino per piacere agli altri.

Conclusione: Sii fedele al tuo sguardo

Alla fine, la fotografia è un atto di fiducia. Fiducia nel fatto che ciò che vedi, ciò che senti, ciò che vuoi dire, abbia valore. Anche se non piace a tutti.
Anzi, soprattutto se non piace a tutti.

Oliviero Toscani ci provoca con la sua frase, ma ci fa un favore. Ci ricorda che la ricerca di consenso non solo ci rende mediocri, ma ci allontana da chi siamo.
Quindi, la prossima volta che inquadri qualcosa, chiediti: lo sto facendo per me… o per gli altri?

Approfondimenti

Per approfondire il tema dell’anticonformismo in fotografia, consiglio questo articolo sul sito Raf Magazine dedicato ai fotografi che hanno rotto le regole.

Se ti interessa un altro punto di vista sul valore della fotografia come espressione personale, ti consiglio di leggere anche il mio articolo “Fotografare in solitaria: perché a volte è necessario”.