
È da un po’ che penso a un progetto fotografico sulla morte di mio padre.
Non è un pensiero che arriva leggero, e nemmeno uno che si lascia afferrare facilmente. Ha i contorni sfumati del ricordo, il peso del silenzio, e quella strana urgenza che a volte accompagna il dolore: la voglia di trasformarlo, di dargli forma, forse per capirlo, forse solo per non lasciarlo scivolare via.
Ho abbozzato un’idea.
Ho scattato qualche foto.
Ma non mi soddisfa.
Non ne sono convinto come vorrei.
Forse perché parlare della morte, soprattutto quella di una persona amata, non è mai semplice. E fotografarla… è ancora più complesso. Si rischia di cadere nella retorica, o di rimanere in superficie. Ma io vorrei andare più a fondo. Vorrei trovare un linguaggio visivo che non racconti solo l’assenza, ma anche la presenza silenziosa che resta, il modo in cui il lutto si insinua nelle pieghe della quotidianità, negli oggetti, nei luoghi, nei gesti.
Non so ancora dove mi porterà questo progetto.
Ma sento che devo continuare a cercare.
Senza fretta. Senza forzature.
Lasciando che le immagini emergano da sole, quando saranno pronte.
A volte la fotografia è un modo per trattenere.
Altre volte, è un modo per lasciar andare.