
Uscire con la fotocamera, ormai è un’abitudine. Una cosa che succede ogni giorno, quasi senza pensarci. Quando preparo lo zaino per uscire – per andare al lavoro, per una camminata, o anche solo per fare un salto in paese – c’è sempre una macchina fotografica lì dentro. A volte è una digitale compatta, altre una reflex analogica, altre ancora una mirrorless leggera. Ma c’è sempre. Non lo vivo come un obbligo o una fissazione. È come se fosse diventato un gesto naturale, come portarsi dietro il portafogli o il cellulare.
Mi sono chiesto spesso perché. Cosa mi spinge davvero a uscire con la fotocamera? È un bisogno fisico, come quello di muoversi o di respirare aria aperta? O è qualcosa di più profondo, magari emotivo, estetico, oppure un modo per dare un senso alla mia giornata? In questo articolo voglio provare a esplorarlo, partendo da esperienze personali ma con il desiderio di parlare anche a chi si ritrova, magari inconsapevolmente, in questa stessa attitudine.
Il bisogno di vedere davvero
Portare con sé la fotocamera significa anche attivare uno sguardo. Non appena so di averla nello zaino, cambia il modo in cui osservo quello che mi circonda. Esco con la fotocamera proprio per questo: non è che vedo per scattare, ma piuttosto scatto perché sto davvero vedendo. È come se ci fosse un interruttore mentale: “attenzione accesa”.
In effetti, il bisogno di uscire con la fotocamera spesso nasce proprio da questo desiderio di vedere il mondo in modo più attento. Quando non la porto, capita che mi senta cieco o distratto. È una sensazione fisica, a volte quasi di disagio. Come se avessi dimenticato un’estensione del mio corpo. Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che uscire con la fotocamera è ormai per me una necessità quotidiana.
La spinta emotiva: un dialogo silenzioso
Non è solo questione di “occhio fotografico”. C’è anche una componente fortemente emotiva. Alcune foto che scatto non sono belle, e nemmeno particolarmente interessanti. Ma raccontano qualcosa che ho sentito, vissuto, riconosciuto in quel momento. È come se la fotocamera fosse il tramite di un dialogo interiore. Non parlo con le immagini, ma attraverso di esse rispondo a qualcosa che dentro di me ha fatto eco.
In effetti, spesso accade che una luce particolare, un gesto, una geometria, mi riportino a un ricordo, un desiderio o un’impressione fugace. E allora scatto, quasi per trattenerla. Uscire con la fotocamera, anche se poi quella foto resterà nel rullino o in fondo a una scheda SD, mi permette di trattenere quei momenti.
Fotografia come allenamento alla presenza
Un altro motivo che mi spinge a uscire con la fotocamera è legato alla presenza. Fotografare mi ancora al momento. Mi aiuta a rallentare, a stare dove sono. Anche in giornate storte, grigie o noiose, la macchina fotografica riesce a creare piccoli momenti di grazia. A volte bastano dieci minuti, il tempo di un’ombra che si sposta sul muro, di un passaggio di nuvole o di una bicicletta solitaria.
C’è un che di meditativo in questo. Non sempre scattare equivale a produrre qualcosa. Spesso è solo un modo per essere lì, consapevolmente, con tutti i sensi. La fotografia diventa così uno strumento per radicarsi, per ritrovare equilibrio, anche nei giorni più disordinati.
Un’azione senza aspettative
Ci sono giorni in cui esco e non scatto nemmeno una foto. Ma non torno mai con la sensazione di aver perso tempo. Aver portato con me la macchina fotografica è comunque servito. È come uscire per correre e poi limitarsi a camminare, ma aver comunque fatto bene al corpo e alla mente.
Questa assenza di aspettative è diventata una parte fondamentale del mio approccio. Non fotografo per pubblicare, per mostrare o per raccogliere like. Fotografo per me. Condizionato dal bisogno di uscire con la fotocamera, scelgo di nutrire un modo di guardare, per tenermi in esercizio, per restare connesso con ciò che mi circonda.
Un esempio personale: quell’edicola chiusa
Ricordo un giorno in cui ero uscito solo per fare due passi. Avevo con me la mia fedele analogica. Camminando per una strada che conosco da sempre, ho notato un’edicola chiusa, con le serrande abbassate e un vecchio manifesto scolorito che ancora resisteva alla pioggia. Non era una scena spettacolare. Ma mi ha colpito qualcosa. Forse la malinconia, forse il silenzio, forse l’idea di qualcosa che non c’è più. Ho scattato una sola foto. E allora, uscire con la fotocamera mi ha permesso di cogliere quel momento. E poi sono tornato a casa.
Quella immagine non ha vinto premi, non ha avuto “successo”, anche perché non l’ho mai diffusa. Ma ha avuto un senso profondo per me. Mi ha ricordato perché uscire con la fotocamera è una parte essenziale delle mie giornate.
Curiosità e allenamento continuo
Un’altra spinta fondamentale è la curiosità. Ogni luogo, ogni dettaglio, può contenere una storia. Spesso sono attratto da cose apparentemente insignificanti: una sedia fuori posto, una pianta che spunta da un muro, una fermata dell’autobus nel nulla. Ci sono elementi che, senza sapere perché, mi fanno alzare la fotocamera e premere il pulsante. Non ho bisogno di spiegazioni. Esco con la fotocamera proprio per questo: solo di continuare ad allenare questa attenzione.
Uscire con la fotocamera, per me, significa anche questo: tenere acceso il motore della curiosità, rimanere aperto a ciò che non mi aspettavo di trovare.
Uscire con la fotocamera: un atto semplice, ma potente
Alla fine, uscire con la fotocamera è diventato un modo per prendermi cura di me. Non sempre scatto foto straordinarie, non sempre torno con qualcosa da mostrare. Ma torno sempre con qualcosa in più: uno sguardo un po’ più attento, un’emozione registrata, una sensazione da portare con me.
Ecco perché la macchina fotografica è sempre nel mio zaino. Non so mai cosa troverò là fuori. Ma so che, qualunque cosa accada, sarò pronto a vederla davvero.
Hai anche tu questa sensazione? Ti capita di non poterti separare dalla fotocamera? Se ti va, raccontami la tua esperienza inviandomi una email. Sarà un piacere leggerti!
Se vuoi approfondire l’argomento puoi leggere questo articolo: Why Every Photographer Should Have a Casual Compact Camera, oppure questo mio articolo “fotografare l’ordinario“.