
Riscoprire la bellezza dell’analogico nel mondo digitale
C’è un piacere sottile nel montare un vecchio obiettivo su una macchina digitale. Come infilare un disco in vinile nel silenzio del pomeriggio. Come scrivere a mano una lettera quando potresti mandare un messaggio.
Le lenti fisse analogiche hanno un’anima. Non sono solo pezzi di vetro e metallo: portano con sé una storia, piccole imperfezioni, un modo tutto loro di guardare il mondo. E quando le accosti a un sensore moderno, succede qualcosa di magico: l’incontro tra due epoche, tra la memoria e la contemporaneità.
Non hanno l’autofocus. Non ti aiutano a esporre. Non correggono nulla. E proprio per questo ti chiedono di essere presente. Di ascoltare la luce. Di decidere con attenzione. Ti costringono a rallentare, a guardare davvero, a scattare quando senti che è il momento giusto, non solo quando tutto è “a fuoco”.
C’è una morbidezza nei loro contorni. Una delicatezza nei colori. Spesso lasciano entrare il sole in modo un po’ disordinato, con riflessi che si arrampicano nell’inquadratura. A volte sbagliano. Ma quanta poesia c’è in quei piccoli sbagli?
Montare una lente analogica su una fotocamera moderna è un invito:
a esplorare il tempo,
a fidarti del tuo occhio,
a lasciar parlare l’imperfezione.
E alla fine, ogni scatto diventa più di una fotografia.
Diventa un incontro.