Καλειδοσκόπιο – Caleidoscopio

fotografia caleidoscopio
fotografia caleidoscopio – progetto Καλειδοσκόπιο – Caleidoscopio

Fotografia caleidoscopio: un viaggio dentro l’immagine, tra riflessi, memoria e moltiplicazioni dello sguardo

C’è un momento, nella vita di ogni fotografo, in cui il desiderio di guardare cambia forma. Non si tratta più di trovare “la bella imm0agine”, il punto perfetto di equilibrio tra composizione, luce e soggetto. No. Si tratta, piuttosto, di scardinare la visione, di cercare un altrove. Di mettere alla prova il proprio modo di vedere il mondo – e anche le fotografie – ribaltandolo, moltiplicandolo, riflettendolo. Καλειδοσκόπιο – Caleidoscopio nasce da questa urgenza.

Il nome del progetto prende in prestito il termine greco “καλειδοσκόπιο”, che significa letteralmente “osservare belle forme”. È un dispositivo ottico, certo, ma è anche un’idea poetica. Uno strumento che trasforma la realtà in qualcosa di simmetrico, ipnotico, frammentato e tuttavia ordinato. In questo senso, è una metafora perfetta della fotografia: un mezzo che non si limita a registrare, ma rielabora, costruisce, interpreta. Un mezzo che, se lo lasciamo fare, ci insegna a vedere diversamente.

Il dispositivo: uno sguardo moltiplicato

L’idea alla base di Καλειδοσκόπιο è semplice quanto affascinante: ho costruito un tubo composto da tre specchi disposti a triangolo, con la parte riflettente rivolta verso l’interno. Dalla parte aperta del tubo, rivolto verso la macchina fotografica, si osserva e si fotografa ciò che sta dall’altra parte – che può essere una fotografia già esistente o un pezzo di realtà esterna. Il risultato è una moltiplicazione dell’immagine attraverso riflessi infiniti, simmetrie impreviste, geometrie sorprendenti. L’oggetto diventa così una sorta di lente psichedelica, ma anche uno strumento di rielaborazione visiva. Un caleidoscopio fotografico, appunto.

In un tempo in cui la fotografia è spesso confinata alla sua superficie – al “bello” da condividere, al soggetto riconoscibile, all’estetica omologata – questo esperimento propone una deviazione: guardare di nuovo ciò che già si conosce, ma attraverso un filtro che lo trasforma. È un invito a osservare le immagini non per quello che mostrano, ma per quello che suggeriscono. Per ciò che diventano quando vengono rifratte, moltiplicate, messe in dialogo con se stesse.

Fotografare fotografie: dialoghi con l’immagine

Uno degli aspetti centrali del progetto sarà la “rifotografia” di fotografie. In pratica, inserirò nel caleidoscopio alcune immagini – alcune scelte tra quelle dei grandi maestri della fotografia, altre tra le mie fotografie personali – e le osserverò attraverso il sistema di specchi, per poi scattare una nuova fotografia di ciò che vedo. Non si tratta di appropriazione o citazione, ma di un vero e proprio dialogo visivo. Le immagini originali, infatti, vengono trasfigurate dal dispositivo: si sdoppiano, si ricompongono in strutture astratte, si moltiplicano come in un gioco di specchi infiniti.

Cosa succede quando un’immagine già compiuta viene attraversata da questo filtro? Perde identità? Ne acquista una nuova? Si annulla o si amplifica? Καλειδοσκόπιο prova a rispondere a queste domande non con la teoria, ma con la pratica. Le fotografie diventano materia prima, pigmento visivo, punto di partenza per una seconda vita. Ogni immagine che entra nel tubo smette di essere solo se stessa, e si fa altro. Si fa molteplici.

Questo gesto, apparentemente semplice, è anche una riflessione sul concetto di autorialità. Cosa significa oggi “fare una fotografia”? Dove finisce la visione dell’autore originale e dove inizia la mia? È ancora “sua” quell’immagine riflessa e scomposta, oppure è già diventata qualcos’altro? In un’epoca in cui il remix, la reinterpretazione e la manipolazione digitale sono all’ordine del giorno, questo progetto introduce una variabile analogica, quasi artigianale, nel gioco della trasformazione.

Il mondo esterno: geometrie dell’inatteso

Ma Καλειδοσκόπιο non si limiterà a lavorare su fotografie esistenti. Il tubo ottico sarà usato anche all’esterno, nel mondo reale, per osservare e fotografare porzioni di paesaggio, dettagli urbani, scorci naturali, persone, oggetti. Il dispositivo diventa così una finestra alternativa sulla realtà, capace di rivelare geometrie invisibili e relazioni inaspettate.

Fotografare attraverso un caleidoscopio cambia radicalmente il modo in cui ci si relaziona al soggetto. Non si cerca più la composizione perfetta, ma l’incastro visivo, l’equilibrio tra riflessi e pieni, tra luce e ripetizione. Ogni minima variazione di posizione – anche di pochi millimetri – altera completamente l’immagine. È un esercizio di attenzione, ma anche di abbandono. Di controllo e sorpresa insieme.

Questa parte del progetto avrà una forte componente esplorativa. Camminerò, osserverò, mi avvicinerò alle cose con il tubo tra le mani, cercando non tanto “belle fotografie”, quanto occasioni per stupirmi. Il caleidoscopio diventa una lente poetica: qualcosa che mi costringe a rallentare, a soffermarmi su dettagli che altrimenti ignorerei. Un angolo di muro, una finestra, un ramo, una scritta su un muro: tutto può diventare immagine nel momento in cui viene attraversato dal gioco degli specchi.

Un progetto, molte direzioni

Καλειδοσκόπιο è un progetto aperto. Non ha una forma definitiva, né un numero fisso di immagini da realizzare. È un esperimento continuo, una pratica, un processo. Potrà essere declinato in varie direzioni: una serie fotografica, una mostra, un libro d’artista, forse anche un video. Ma prima di tutto è un’esplorazione personale.

In fondo, costruire questo dispositivo non è stato solo un atto tecnico – seppure abbia richiesto pazienza e precisione – ma anche un gesto simbolico. Mi sono costruito un nuovo modo di guardare. Un modo che, paradossalmente, passa dalla deformazione per arrivare a una nuova forma di verità. Non quella oggettiva, che non esiste, ma quella emotiva, sensibile, poetica. L’unica che per me ha senso inseguire con la fotografia.

Riflessioni sul vedere e sul ricordare

C’è qualcosa di profondamente evocativo nel guardare immagini attraverso un caleidoscopio. Il riflesso crea una distanza. La moltiplicazione suggerisce un’eco. È come se l’immagine venisse da lontano, da un sogno, da un ricordo d’infanzia. E forse è proprio questo che cerco: riportare la fotografia su un piano più intimo, più onirico, più umano.

Viviamo sommersi da immagini. Le scorriamo in continuazione, le consumiamo. Ma quanto davvero le vediamo? Quanto ci lasciamo toccare da esse? Καλειδοσκόπιο è un tentativo di rallentare, di rendere di nuovo misteriosa l’immagine. Di restituirle una dimensione quasi sacra, o almeno simbolica. Guardare attraverso gli specchi non è solo un effetto ottico: è un invito a guardare dentro, a cercare qualcosa che ci sfugge.

Un invito al gioco (serissimo)

Come ogni caleidoscopio che si rispetti, anche questo progetto ha un’anima giocosa. Ma si tratta di un gioco serio, quasi infantile nella sua meraviglia e adulto nella sua intenzione. Non c’è ironia in questo: c’è stupore, c’è curiosità, c’è amore per la fotografia e per le sue infinite possibilità.

La fotografia è troppo spesso intrappolata nella sua funzione documentaria, o nella sua estetica da vetrina. Ma può essere anche gioco, esplorazione, poesia. Può essere un mezzo per tornare a guardare con occhi nuovi. E costruirsi un caleidoscopio, mettersi lì a fotografare riflessi e simmetrie, è un atto di libertà. Un piccolo gesto anarchico contro la fotografia piatta, ovvia, ripetitiva.

Un laboratorio individuale dell’immaginazione

Nel profondo, Καλειδοσκόπιο è anche un laboratorio dell’immaginazione. Non un esperimento scientifico, ma uno spazio mentale e visivo in cui lasciar accadere le cose. Ogni immagine rifotografata attraverso il caleidoscopio è un esercizio di visione, un passo verso una fotografia che non documenta ma trasforma, che non riproduce ma reinventa. E ogni scatto diventa così una traccia di questo percorso, una mappa parziale di un viaggio personale nella visione.

Conclusione (provvisoria)

Come ogni progetto che nasce da un’urgenza personale, anche Καλειδοσκόπιο non ha una fine predefinita. È una strada che si apre camminando. Un tubo che riflette, ma anche una lente che trasforma. Una piccola macchina ottica, certo, ma anche una grande metafora dello sguardo. Ogni fotografia sarà un piccolo universo, un microcosmo visivo fatto di simmetrie, sorprese, frammenti e visioni. E ogni scatto sarà un passo in più verso quella cosa indefinibile che chiamerei, forse, “poetica dello sguardo riflesso”.